Ritorniamo al futuro:
l’immaginario della sicurezza
di Claudia Attimonelli
Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Più di un secolo fa l’Italia fu pioniera del più potente e influente discorso sul futuro che sia mai stato concepito: grazie al registro e alla retorica declamatoria dei manifesti, molto in voga in quegli anni, Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio del 1909 pubblicò a Parigi su Le Figaro il celebre Manifesto del Futurismo che faceva bella mostra di sé in prima pagina. Ne selezioniamo alcuni passaggi:
Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
(…) Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
(…) Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!..
All’alba del nuovo Millennio emergono chiaramente alcuni aspetti su cui soffermare la nostra attenzione: il primo è senz’altro relativo all’urgenza di nominare il futuro come necessità che incombe e già insiste sul presente, affinché l’umanità non sia più infestata da una “eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui usci[r]e fatalmente esausti, diminuiti e calpesti” (ibidem); questo perentorio monito rivolto al passato viene associato sin da subito al medium che permette di lanciarsi con “coraggio”, “audacia” e “ribellione”, nel cuore pulsante del tempo che si vive, ovvero l’“automobile da corsa”. È la velocità data da un mezzo di trasporto a suggellare per Marinetti l’ingresso metaforico e reale nel futuro.
L’immagine di chi guida sfrenato, tenendosi saldo al volante per fendere a gran velocità l’orbita della Terra oggi risuona inappropriato se non scandaloso per ragioni ben diverse da quelle contro le quali si scagliava il futurista italiano.
Tuttavia, a partire da quell’inno al futuro circa cinquanta dopo, nello svolgersi del secolo novecentesco e delle conquiste tecnologiche che lo hanno caratterizzato, si affermò un concetto tuttora accreditato che va sotto il nome di Accelerazionismo. Questo movimento è abitato da tensioni diverse e in contrasto, così come, per certi versi, risuona a noi oggi lo stesso Manifesto futurista. Uno degli autori che lo ha anticipato, senza farne parte è Paul Virilio: urbanista e sociologo francese, studioso di dromologia – la scienza che indaga gli effetti della velocità nei diversi settori che ne sono innervati – il quale rivelò, accanto ai vantaggi, i rischi nascosti nell’uso di certe tecnologie particolarmente articolate ed espressione della cultura digitale, che la tecnocrazia abilmente trasfigura in nuovi miti contemporanei, come si evince dai suoi saggi più illuminanti di quel tempo su questo argomento: Vitesse et politique: essai de dromologie (1977); Esthétique de la disparition (1980); L’espace critique (1984).
È inevitabile che, parlando di velocità sotto il segno del Futurismo, l’ambito da cui attingere archetipi fosse la fantascienza seguita dal cinema. Infatti è al romanzo di Roger Zelazny, Il Signore della Luce (1967), pubblicato in Italia nella collana di culto Urania, che si deve la fascinazione per ciò che concerne il binomio tecnologie e politica, da parte di quanti iniziarono sul finire degli anni Settanta a teorizzarne le derive più insidiose.
Le virtù di un capitalismo sempre più accelerato e disumano furono decostruite e demistificate abilmente dagli accelerazionisti, un tale smascheramento, come ben si evince da tre pensieri fondamentali sul tema, non ha trovato ancora credito nelle scelte della finanza e della politica oggi, sebbene molte delle premesse di partenza siano alquanto chiare e difficilmente non condivisibili.
Nick Land, considerato il padre dell’accelerazionismo negli anni Novanta, insieme con Mark Fisher e il suo celebre Realismo Capitalista (2007), fino al recente saggio di culto scritto da Nick Srnicek e Alex Williams, intitolato Inventare il futuro per un mondo senza lavoro (2018), riflettono sul paradigma della velocità nata in seno all’uso della tecnologia e delle sue pieghe più oscure e prospettano orizzonti critici in cui si introduca la questione della sicurezza contestualizzata in scenari tanto distopici quanto reali.
Uno dei concetti essenziali a cui si riferiscono Land e per vie diverse Fisher, è quello di “hyperstition”, crasi tra “hype” e “superstition”: per iperstizione il CCRU (Cybernetic Culture Research Unit dell’Univeristà di Warwick – Inghilterra) s’intendono quegli elementi del bacino di cultura pop passati e presenti i quali, unitamente ad eventi passati in virtù di un’intensificazione culturale, si autorealizzano, come nel fulgido esempio del serial televisivo britannico Black Mirror (Attimonelli, Susca 2020) o, prima di esso, nella trilogia di Ritorno al Futuro (1985, 1989, 1990). Per Land la tradizione umanistica e i suoi valori fondano ciò che egli chiama Human Security System, che è precisamente ciò da cui prendere le distanze, secondo l’autore, per fondare una nuova emancipazione dell’umanità basata sull’avvicendarsi della tecnologia senza opporvi la resistenza che l’umanesimo le ha rivolto contro. In sostanza e a tratti, per ossimori e contraddizioni, ciò che l’accelerazionismo ha sin da subito tentato di inculcare nel pensiero di fine millennio è servito a trovare terreno fertile affinché si mutasse di segno l’atteggiamento della società nei confronti del tecnologico, senza perciò doversi necessariamente schierare dalla parte degli integrati né tantomeno cedere completamente al pensiero più apocalittico (Eco 1964).
Il Sorpasso e Easy Rider verso un frenetico Ritorno al Futuro
Per quanto nutriti dall’avvento del potente immaginario cyberpunk negli anni Ottanta, è nel tessuto urbano quotidiano e nel cinema che velocità, sicurezza e tecnologia trovano l’humus privilegiato per proliferare.
Nell’indimenticabile pellicola di Dino Risi del 1962, Il Sorpasso, Bruno al volante della sua Lancia con accanto Roberto, inaugura un viaggio iniziatico che si materializza già dalla Via Aurelia come una corsa a velocità sostenuta e che finirà nella tragedia di uno scontro contro un camion in cui l’amico perderà la vita. Non dissimile è il finale di Easy Rider (Dennis Hopper 1969), del genere road-movie americano, dove all’automobile si sostituisce la motocicletta, l’iconico chopper, per inneggiare alla libertà della cultura hippie anni Sessanta (non a caso in Italia il film fu tradotto con Libertà e paura, per quanto tutti lo conoscano con il titolo originale). A partire da questo film, l’iconografia della corsa, della scoperta e dell’iniziazione al viaggio on the road saranno indissolubilmente associati al rischio della guida su mezzi veloci unitamente al consumo di droghe e alcol, di cui sono pregne le atmosfere psichedeliche di questo capolavoro della controcultura americana.
La lista di film che vertono sulla relazione che si instaura tra individui e i mezzi di locomozione sarebbe troppo lunga per essere esaustiva, ciò che qui preme segnalare sono alcuni tropi cinematografici che, a partire dall’ardore futurista per la velocità e le macchine, hanno inevitabilmente influenzato la comunicazione capace di sensibilizzare i più giovani – ma non solo – alla sicurezza. D’altra parte, tanto il cinema quanto la pubblicità non hanno come obiettivo quello di educare, mentre le campagne pubblicitarie non sempre riescono ad avere l’appeal necessario per ottenere l’attenzione che il tema proposto merita.
Relativamente a questo contesto sembra fondamentale in primis individuare linguaggi e messaggi che non demoliscano l’immaginario à la Easy rider, simbolicamente rappresentato dal fascino espresso dalla libertà che scaturisce dalla velocità. Sebbene essa sia chiaramente un valore nato in seno alla modernità e dunque passibile di obsolescenza in epoca postmoderna, non sembra aver perduto la sua aura.
Dove attingere, dunque, per suggerire immaginari fecondi e densi di significati sulla sicurezza connessi con l’epoca contemporanea?
Ci sembra ve ne sia uno essenziale da cui trarre ispirazione, esso proviene dalla già menzionata trilogia di Back to the Future – Ritorno al Futuro. Bacino segnico inestinguibile, tra i pochi ad aver immaginato un futuro fatto di oggetti del quotidiano entrati da qualche anno a popolare il nostro presente, il film di Zemeckis costituisce una rappresentazione iconica della realtà nutrita di fantascienza divenendone la presentificazione più pop e autentica. Indimenticabile lo skate adoperato da Michael J. Fox di cui si dice, tra le varie leggende che ruotano attorno al film, che avesse dovuto imparare a governarlo appositamente per girare le scene che lo vedevano sfrecciarvi stabilmente e abilmente sopra. Ritorno al Futuro ha introdotto in modo visionario, inedito e giocoso il mezzo di locomozione che oggi è divenuto tra i più popolari per spostarsi in modo ecosofico in città. Naturalmente le acrobazie di Marty McFly, come quando si aggrappa ad un’auto per incrementare la propria velocità sulla tavola a rotelle, insieme alle invenzioni del geniale Doc, come il volopattino che si solleva e fende anche le acque[1], con le celebri scarpe che si allacciano da sole[2] e che la Nike ha messo in produzione nel 2015 per un’edizione limitata[3], dovevano sembrare pura fantascienza, mentre non hanno fatto altro che anticipare il nostro presente.
Hoverboard, monopattini a piede, monopattini elettrici, skate di ogni genere e biciclette elettriche con la pedalata assistita, puntellano le strade delle città odierne, è evidente che non si possa che trarre ispirazione da questi mezzi di locomozione per attirare l’attenzione di quanti, tra ragazze e ragazzi, non hanno il mito della velocità quanto quello delle nuove tecnologie applicate al quotidiano con inclusi tutti gli elementi che garantiscono la sicurezza. Demonizzarli sarebbe un imperdonabile ed anacronistico errore. Non è un caso che molte città non solo in Italia, tra cui il Comune di Bari, si stanno adoperando per offrire adeguate normative per il loro miglior uso.
Il messaggio di libertà evocato dai road movie non va perduto ma trasformato, convertito in qualcosa d’altro. Esso rimane custodito, ad esempio, nei mezzi di trasporto non-convenzionali che la cultura americana dello skate e del surf avevano prefigurato sin dagli anni Sessanta.
Tali mezzi sono ecosostenibili e accrescono l’hype di una città, promuovono l’immaginario del futuro collegato con la tecnologia e offrono un’idea di spazio urbano abitabile e cool. Non potendo decostruire e rinnegare l’efficacia di un linguaggio pubblicitario codificato in più di cento anni, come quello che ruota attorno al mito dell’automobile, diviene indispensabile, per quanti fanno ricerca intorno agli archetipi più attuali, individuare i nuovi miti collegati con la mobilità degli esseri umani.
“Mobilità dolce”, così viene definita quella nuova possibilità offerta da un trasporto in sintonia con un ambiente che sta mutando. Tale mutazione in atto è visibile anche nella segnaletica: iniziano a farsi notare i led che costeggiano le strade a più alta percorrenza da parte degli “smombies”, definiti così gli zombie urbani che passeggiano con lo sguardo rivolto allo schermo dello smartphone, in modo tale da segnalare loro la strada che percepiranno con la coda dell’occhio senza distogliere la vista dal telefono; oppure, più comune è la comparsa di quei cartelli in prossimità delle strisce pedonali, indirizzati questa volta agli automobilisti, con il fine di allertarli circa il possibile attraversamento di “smombies”, così come si faceva per avvisare del pericolo di scolaresche festose all’uscita da scuola.
Ancora una volta, piuttosto che rivoltarsi contro lo spirito del tempo, sembra più stimolante ed efficace accompagnarne le derive e le mutazioni in atto.
[1] https://www.youtube.com/watch?v=TkyLnWm1iCs .
[2] https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=28Wa5L-fkkM&feature=emb_logo .
[3] http://www.nicekicks.com/2011/09/nike-air-mag-officially-unveiled/ .
Riferimenti
Attimonelli, C., & Susca, V. (2020). Un oscuro riflettere. Black Mirror e l’aurora digitale. Milano: Mimesis.
Eco, U. (1964). Apocalittici e integrati. Milano: Bompiani.
Fisher, M. (2018). Realismo capitalista. Roma: Nero.
Land, N. (2011). Fanged Noumena. Urbanomic.
Marinetti, F. T. (1909). Manifesto del Futurismo. Fondazione del Movimento Futurista: Milano.
Virilio, P. (1977), Vitesse et politique: essai de dromologie, Galilee, Parigi; trad. it. Velocità e politica: saggio di dromologia, Multhipla, Milano 1981.
- (1980). Esthetique de la disparition, Balland, Parigi; trad. it., Estetica della sparizione, Napoli, Liguori, Napoli 1992.
- (1984). L’espace critique, Christian Bourgois, Parigi; trad. it., Lo spazio critico, Dedalo, Bari 1998.