Educazione stradale e sostenibilità

di Loredana Perla

Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione
Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Come si acquisiscono comportamenti sicuri sulla strada? E a quale età è bene iniziare l’educazione stradale? Si tratta di domande che ingaggiano fortemente il ruolo della teoresi pedagogico-didattica e, sul piano delle pratiche, la funzione scolastica perché, come è noto, l’interiorizzazione di atteggiamenti corretti richiede tempi lunghi e un approccio sistematico e intenzionale quale quello che solo il sistema scolastico – per suo statuto – riesce a garantire nel lungo percorso di frequenza obbligatoria di bambine e bambini. Tanto basta a giustificare l’introduzione dell’educazione stradale sin dai primissimi anni di vita scolastica anche alla luce del principio pedagogico che l’educazione stradale, così come qualsiasi altra educazione (morale, alimentare, affettivo-sociale, ambientale ecc.) non può mai essere affrontata in forma specialistica, ovvero come apprendimento di una serie di contenuti e di ‘regole’ di condotta, ma come un progetto trasversale al curricolo pre-disciplinare e disciplinare adottato dalla scuola sin dall’infanzia e correlato ai più ampi campi dell’educazione alla cittadinanza e alla sostenibilità.

Alla luce di questo assunto di partenza, proverò a dipanare il tema argomentando tre traiettorie discorsive rispondenti ad altrettanti interrogativi:

  • cosa si intende esattamente per educazione stradale?
  • perché avalliamo il nesso epistemologico fra educazione stradale ed educazione alla sostenibilità?
  • quale curricolo promuove l’apprendimento ‘interiorizzato’ dei principi di guida sicura nelle allieve ed allievi che frequentano le scuole?

Chiuderò poi il contributo offrendo qualche esempio di esperienze in atto nel mondo della scuola per promuovere nelle studentesse e negli studenti un pensiero attento alla sostenibilità attraverso l’approccio dell’educazione stradale.

1) Cosa si intende esattamente per educazione stradale?

Mi trovo spesso nelle scuole a parlare del progetto ‘Pedibus’. Cosa è Pedibus (in inglese walking bus, autobus a piedi)? Nato nel 1992 grazie all’iniziativa di un ambientalista australiano, David Engwicht, per combattere il crescente fenomeno dell’obesità infantile, questo progetto ha finito col tempo per trasformarsi in un metodo di educazione stradale che giova più all’ambiente che al singolo bambino a rischio di obesità. Mi spiego meglio. Pedibus si basa su un principio ‘di base’ dal quale discende l’approccio didattico. Il principio è che la “La strada è punto di riferimento e di libero uso da parte di tutti e su di essa convergono interessi, necessità, esigenze. Per tutto questo, il suo uso deve essere regolamentato: non è una pista, non è una discarica e, soprattutto, non è una proprietà personale”. Il metodo che ne discende è una potente idea educativa di “mobilità alternativa”. Pedibus, infatti, è organizzato come un vero autobus con linee, fermate, orari, autista, controllore e regolamento: “trasporta” i bambini dalla fermata più vicina a casa fino a scuola in modo sicuro, ecologico e salutare. E così lo scopo per il quale è stato inventato, combattere l’obesità infantile, è stato serendipicamente sopravanzato da uno scopo pedagogico più grande che ne è diventato il principale: ovvero educare alla sostenibilità ambientale. Col tempo (e grazie agli adattamenti locali che le scuole ne hanno fatto), Pedibus ha coinvolto le famiglie che, attraverso le associazioni dei genitori, sono state invitate a promuovere il metodo per motivi di sicurezza, preferendo che i propri figli si recassero a scuola in compagnia e vigilati, su un percorso più lungo ma più tutelato. È così accaduto che le famiglie si sono ritrovate sollevate dall’impegno di accompagnare i figli con le auto e l’ambiente ne ha guadagnato in qualità attraverso il consistente risparmio energetico dei genitori che, prima di Pedibus, compivano il percorso casa-scuola due volte o più al giorno con uno dei due viaggi a carico vuoto. Per non parlare degli effetti positivi sulla socializzazione e sull’autonomia dei bambini: Pedibus ha promosso l’aggregazione anche in funzione anti-bullismo perché il procedere tutti insieme in gruppo protegge i piccoli più ‘vulnerabili’ dai potenziali attacchi dei bulli.

Insomma, credo, a questo punto, che risulti chiaro – con l’esempio di Pedibus – cosa si intenda didatticamente per educazione stradale: molto più della conoscenza della sicurezza stradale e delle norme generali per la condotta dei veicoli, molto meno che una disciplina curricolarmente specialistica. Si tratta di una declinazione peculiare dell’insegnamento di educazione civica, giunto finalmente ad approvazione dopo un lungo iter normativo, con la Legge 21 agosto 2019 n.92, che ha investito, a partire dall’anno scolastico 2020-2021, tutto il corpo docente delle scuole di ogni ordine e grado (e non più il solo famigerato ‘esperto’ di materia), della responsabilità trasversale di tale apprendimento. In particolare l’art. 3, richiamando le Indicazioni Nazionali e le Linee guida del MIUR nei diversi cicli, delinea precisi obiettivi di apprendimento e sviluppo delle competenze e specifica: “Nell’ambito dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica sono altresì promosse l’educazione stradale, l’educazione alla salute e al benessere, l’educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva. Tutte le azioni sono finalizzate ad alimentare e rafforzare il rispetto nei confronti delle persone, degli animali e della natura”. Come si vede, ancora una volta, e in un testo normativo, viene fondato il nesso fra l’educazione stradale e l’educazione alla sostenibilità ambientale. E si dà all’educazione stradale un ‘profilo trasversale’. La “nuova” educazione civica, infatti, entro la quale si colloca l’educazione stradale, è stata istituita come insegnamento dichiaratamente “trasversale”. In tale direzione si prevede un rafforzamento degli strumenti di collaborazione con le famiglie anche al fine di sensibilizzare gli studenti alla cittadinanza responsabile e si mira all’integrazione con esperienze extrascolastiche, a partire dalla costituzione di reti con altri soggetti istituzionali, con il mondo del volontariato e del Terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva. Altro aspetto di novità è che la Legge 92 stabilisce che l’educazione civica diventi oggetto di valutazioni periodiche e finali e che sia il docente coordinatore a formulare la proposta di voto espresso in decimi, acquisendo elementi conoscitivi dai docenti cui l’insegnamento è affidato. Questo vuol dire che, nella scelta del profilo contenutistico dell’educazione stradale (prevista al 2°comma dell’art. 3 della Legge) sarà d’ora in avanti implicita anche una valutazione in decimi delle condotte degli studenti in strada.

2) Perché avalliamo il nesso epistemologico fra educazione stradale ed educazione alla sostenibilità?

L’innesto dell’educazione stradale nel profilo trasversale dell’insegnamento dell’educazione civica è niente affatto casuale. L’ambiente è da sempre, esattamente come la strada, possibilità, limite, monito. Ma ha bisogno di vedersi riconosciuto il ‘diritto’ a una vita attraverso l’educazione di chi ne fruisce le risorse e che ha il dovere di ‘restituire’ all’ambiente la ‘possibilità’ di vita non in termini di degrado (come purtroppo avviene in moltissimi casi), bensì di difesa, di tutela, di cura. Tanto più oggi, in una stagione della storia in cui l’impronta umana sull’ambiente è aumentata a tal punto da superare le possibilità naturali del pianeta di rigenerarsi; in cui il consumo delle risorse, i cambiamenti climatici, lo sfruttamento degli animali sono diventati temi di un interesse non più di nicchia, ma che tocca le pubbliche coscienze (e il futuro stesso di noi tutti).

C’è solo un modo per uscire dalla “tagliola” che progressivamente va chiudendosi sul destino del pianeta: prevedere o una sopravvivenza congiunta di umanità e natura o, in alternativa, nessuna sopravvivenza. Umanità e natura vanno considerate in un’ottica ecologica, che è quella della compresenza, della mutua tutela, e non quella della distruzione reciproca. Studi recenti di ecologia sociale (Bookchin,1989) mettono in evidenza l’irrilevanza concettuale di quel dualismo fra mondo sociale e mondo naturale che ha aperto cesure insanabili fra mente e corpo, natura e cultura mentre, in realtà, occorrerebbe giungere a comprendere che la natura include anche gli essere umani, così come tutti i viventi, e che più che di ambientalismo occorrerebbe parlare di ecologia come tutela dell’equilibrio dinamico della natura e dell’interdipendenza degli esseri viventi[1].

Tale rimodulazione mostra da tempo la sua “forza” epistemologica in una pluralità di prospettive: da quella ecologica di Morin (2008; 2011) a quella sistemica di Bateson (1984) e von Bertalanffy (2004), a quella post-epistemologica di Kuhn (2009) e Feyerabend (2013) sino a quelle, molto più recenti, dell’ecomusicologia (Fabbri, 2008), dell’eco-criticismo (Meeker, 1997; Garrard, 2004; Iovine, 2007; 2008), dell’eco-narrazione (Demetrio 2013), tutte in dialogo con la pedagogia dell’ambiente (Malavasi, 2008; Mortari 1994; Caimi, 2006) e fondate sul presupposto che i problemi dell’ambiente, seppur analizzabili con il metro dell’indagine scientifica basata su dati concreti e prove evidenti, siano affrontabili anche educando valori di ordine etico. Nello studio del rapporto fra ambiente e formazione umana, prende sempre più rilievo l’urgenza di individuare pratiche e dispositivi che educhino a un pensiero sostenibile, inclusivo, solidale; un pensiero dell’interconnessione fra natura e cultura. L’educazione stradale è un ottimo ‘strumento’ di promozione di questo pensiero. Essa è utile ad accompagnare, per tutti i cicli scolastici, la consapevolezza e l’interiorizzazione di norme, valori e comportamenti che favoriscono una costruttiva forma di prevenzione del rischio ma soprattutto di rispetto dell’ambiente e dell’interconnessione fra natura e cultura. Anche alla luce del fatto che l’Agenda 2030 dell’ONU ha fissato 17 obiettivi da perseguire entro il 2030 a salvaguardia della convivenza e dello sviluppo sostenibile. E tali obiettivi non riguardano solo la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali, ma anche la costruzione di ambienti di vita, di città, la scelta di modi di vivere rispettosi dei diritti fondamentali delle persone, primi fra tutti la salute, il benessere psico-fisico, la sicurezza stradale.

[1] Interessante è, a questo proposito, la distinzione che propone Bookchin (1989), ripresa da Varengo (2012) fra due lemmi erroneamente considerati sinonimi e, invece, vettori di due significati di natura molto diversi fra loro: ambientalismo ed ecologia. Mentre il primo “designa una grezza forma di ingegneria ambientale, una concezione meccanicistica e strumentale tesa a ridurre la natura a un deposito di ‘riserve naturali’, a un habitat passivo al servizio degli esseri umani; una concezione che porta l’ambientalismo all’adozione di una politica riformista di semplice riduzione del danno[…] l’ «ecologia», invece, si occupa dell’equilibrio dinamico della natura, dell’interdipendenza degli esseri viventi e, dal momento che la natura include anche gli esseri umani, si interroga necessariamente anche sul ruolo svolto dall’umanità nel mondo naturale, divenendo così ecologia naturale.

3) Quale curricolo promuove l’apprendimento ‘interiorizzato’ dei principi di guida sicura nelle allieve ed allievi che frequentano le scuole?

Lo scopo dell’educazione stradale non è solamente pedagogico: un obiettivo che è possibile conseguire attraverso l’educazione stradale è la diminuzione del numero dei sinistri stradali. Ed è noto che i costi sociali dell’incidentalità stradale sono altissimi, stimati in 16,9 miliardi di euro, pari all’1% del PIL nazionale. È pur vero che nell’Unione Europea, nel 2019, è diminuito il numero delle vittime di incidenti stradali: poco più di 24.000 rispetto ai 25.191 dell’anno precedente (-2,3%). Ma se da una parte i dati del Rapporto ACI-Istat del 2019 ci riportano un calo di incidenti, morti e feriti, dall’altra, purtroppo, si registra un aumento delle vittime nelle categorie vulnerabili, in particolare tra i ciclisti e gli utenti delle due ruote in generale e questo chiede di rivedere la mobilità in ottica sostenibile ed ecocompatibile (torna il nesso fra educazione stradale ed educazione alla sostenibilità). Andando ancora a guardare i dati, le prime cause di incidentalità ci riportano a un deficit educativo: distrazione, mancato rispetto della precedenza o del semaforo, velocità troppo elevata si confermano le prime tre cause di incidente. Tra le altre cause è utile ricordare la mancanza di distanza di sicurezza (20.207), manovra irregolare (15.574), il comportamento scorretto verso il pedone (7.800) o del pedone stesso (6.647). Sulle strade urbane la prima causa di incidente è, invece, il mancato rispetto di precedenza o semafori (16,6%), seguito dalla guida distratta (14,1%); sulle strade extraurbane la guida distratta o andamento indeciso (17,9%), mancata distanza di sicurezza (12,8%) e velocità troppo elevata (12,2).

Accanto a queste violazioni ricordo il mancato uso delle cinture di sicurezza/seggiolini, l’abuso del cellulare, la guida in stato di ebbrezza alcolica che ha registrato, sempre secondo il Rapporto, un significativo aumento (42.485; +8,4%).

Se questa è la realtà fenomenica del dato, come è possibile agire l’ottica preventiva dell’educazione stradale? Come declinare nelle pratiche curricolari il nesso fra educazione stradale ed educazione alla sostenibilità? Anzitutto utilizzando lo spazio curricolare offerto dal nuovo insegnamento dell’educazione civica, insegnamento trasversale la cui mediazione richiederà un team di riferimento e un coordinatore. Questo almeno per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo grado. Per la scuola secondaria di secondo grado, invece, questa nuova disciplina sarà affidata a docenti delle discipline giuridiche ed economiche presenti negli istituti. In totale, tale insegnamento richiederà almeno 33 ore in un anno, da inserire nei quadri ordinamentali vigenti, con la possibilità di attingere anche alla quota dell’autonomia e alla possibilità di inserire l’educazione stradale nel PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa). Per la costruzione del curricolo di educazione stradale converrà farsi ispirare dalle domande “perenni” che Tyler (1949) formulò come principi-guida da rispettare affinché un curricolo potesse dirsi tale:

  • quali obiettivi dovrebbe conseguire?
  • quali esperienze dovrebbero essere allestite per far sì che quegli obiettivi vengano conseguiti?
  • come possono essere organizzate efficacemente quelle esperienze?
  • come possiamo accertare che gli obiettivi sono stati raggiunti (valutazione)?

Un curricolo di insegnamento dell’educazione stradale dovrebbe dare risposte a queste quattro domande differenziandole, come è ovvio, per ordine e per grado e tenendo conto del principio didattico che le proposte più efficaci fanno leva su apprendimenti active (Perla, 2020b).

È dunque necessario declinare di volta in volta obiettivi ed attività tenendo conto delle fasi evolutive degli studenti.

[1] Interessante è, a questo proposito, la distinzione che propone Bookchin (1989), ripresa da Varengo (2012) fra due lemmi erroneamente considerati sinonimi e, invece, vettori di due significati di natura molto diversi fra loro: ambientalismo ed ecologia. Mentre il primo “designa una grezza forma di ingegneria ambientale, una concezione meccanicistica e strumentale tesa a ridurre la natura a un deposito di ‘riserve naturali’, a un habitat passivo al servizio degli esseri umani; una concezione che porta l’ambientalismo all’adozione di una politica riformista di semplice riduzione del danno[…] l’ «ecologia», invece, si occupa dell’equilibrio dinamico della natura, dell’interdipendenza degli esseri viventi e, dal momento che la natura include anche gli esseri umani, si interroga necessariamente anche sul ruolo svolto dall’umanità nel mondo naturale, divenendo così ecologia naturale.

A) Per la scuola dell’infanzia

A questo livello la finalità ultima è quella di avviare le bambine e i bambini di età prescolare (3-6 anni) alla percezione della strada come spazio sociale, accompagnandoli in un percorso di osservazione e di riconoscimento delle sue peculiarità. La progettazione della scuola dell’infanzia viene realizzata per campi di esperienza che devono essere fortemente correlati negli obiettivi di educazione stradale. Per cui, solo a mo’ di esempio, la declinazione degli obiettivi potrebbe così articolarsi focalizzandosi sull’apprendimento soltanto dei comportamenti pedonali corretti più importanti:

  • osservare l’ambiente urbano circostante la scuola e mappare le strade principali che circondano la scuola;
  • percepire attraverso i sensi gli elementi dell’ambiente strada limitrofo alla scuola;
  • rielaborare l’esperienza vissuta nella conoscenza delle strade limitrofe alla scuola cominciando a distinguere i comportamenti pedonali corretti da quelli rischiosi.

B) Scuola primaria

Gli obiettivi nella scuola primaria possono allargarsi a comprendere la conoscenza degli impatti della velocità e delle norme del codice stradale:

  • diffondere la cultura della sicurezza alla guida attraverso la riduzione di comportamenti a rischio
  • progettare e organizzare interventi di educazione e prevenzione degli incidenti stradali in contesti aggregativi ed educativi/formativi
  • conoscere il comportamento previsto dal Codice della Strada per alcune tipologie di utenti stradali come il pedone, il ciclista, il passeggero su veicolo privato/pubblico, il conducente verso il pedone;
  • individuare percorsi sicuri funzionali per gli spostamenti di tali utenti e la creazione di premesse per la messa in sicurezza;
  • conoscere gli effetti della velocità e capire che il rispetto delle norme rientra nei doveri di cittadinanza attiva;

sensibilizzare le famiglie riguardo l’uso moderato dell’autoveicolo per il percorso casa-scuola.

C) Scuola Secondaria di primo grado

Nella scuola secondaria di primo grado è possibile promuovere ulteriormente la coscienza civile della sicurezza approfondendo il concetto di norme della strada come parte del bagaglio dei doveri dei cittadini (e non soltanto dei diritti). Dal punto di vista educativo insegnare i doveri significa insegnare la responsabilità. Mazzini, in un libretto mai ricordato abbastanza (1860, 2010), spiega in modo esemplare perché i doveri vanno insegnati ai bambini prima dei diritti e perché solo attraverso l’educazione ai doveri si può sperare di arrivare al compimento di una società giusta. “Quand’ io dico che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli. E quando io dico, che proponendo come scopo alla vita la felicità, il benessere, gl’ interessi materiali, corriamo rischio di essere egoisti, non intento che non dobbiate occuparvene; dico che gli interessi materiali, solo cercati, proposti non come mezzi, ma come fine, conducono sempre a quel tristissimo risultato” (Mazzini, 1860, 2010, p.17-18 ). Le parole di Mazzini sembrano profetiche. E sono concettualmente speculari a quelle di Jonas (1979) che richiama l’imprescindibilità di una forte attenzione non solo al rapporto mezzi/fini, ma anche alle conseguenze delle azioni. Mai discorso si attaglia meglio ai principi didattici dell’educazione stradale che tenderà, in questo specifico grado di scuola, ad elevare il livello di educazione e istruzione pedonale degli studenti potenziandone la capacità di partecipazione ai valori della convivenza sociale e civile (Perla, 2020a; Giannini, Sgalla, 2009a).

Questi potrebbero essere gli obiettivi relativi:

  • individuare i “moltiplicatori dell’azione preventiva” che operano nei contesti del divertimento e in quelli educativi/formativi
  • favorire l’individuazione di strategie comunicative adeguate
  • creare alleanze al fine di costruire una rete territoriale tra scuole, operatori della sanità e operatori della sicurezza
  • sensibilizzare e informare gli alunni sui comportamenti a rischio alla guida
  • favorire la realizzazione di iniziative di sensibilizzazione e di informazione
  • comprendere, condividere consapevolmente, rispettare nei propri atteggiamenti e comportamenti i valori etico-civili insiti nelle norme del codice della strada;
  • sviluppare l’autonomia personale e il correlato senso di responsabilità;
  • sviluppare un crescente rispetto per la vita propria e altrui arrivando a prevedere gli effetti delle proprie azioni sulla vita degli altri e la necessità di assumerne la responsabilità richiesta dai vincoli del codice;
  • apprendere gli elementi essenziali della formazione giuridica di base per l’interiorizzazione delle norme di condotta che rendono possibile la convivenza civile.
  • saper mettere in atto interventi opportuni in caso di incidenti (primo soccorso).
  • saper valutare gli impatti sulla salute e sulle capacità di guida di fattori quali la non corretta igiene alimentare, uso-abuso di farmaci che agiscono sui riflessi, droghe, alcool e tutte quelle sostanze che riducono la soglia dell’attenzione.

D) Scuola Secondaria di secondo grado.

Nella scuola di secondo grado saranno ampliate e approfondite in continuità le connessioni fra gli obiettivi perseguiti nel primo grado e gli obiettivi più ampi di educazione alla sostenibilità (Perla, 2020°; Giannini, Sgalla, 2009b).

Gli obiettivi principali, dunque, restano quelli della:

  • promozione della coscienza civile, da raggiungersi anche mediante la conoscenza delle sanzion derivanti dall’inosservanza delle norme del codice della strada;
  • conoscenza degli impatti delle trasgressioni che interagiscono on con la circolazione stradale.

È esperienza diffusa di troppi giovani che la possibilità di trasgredire le regole del codice stradale comporti impunità: per questo per gli studenti è importante comprendere il senso delle regole e delle relative sanzioni legate al mancato rispetto di esse (regola = autotutela) ma anche rinforzare la percezione del proprio senso di adeguatezza (contrastare l’accettazione sociale dei comportamenti irregolari) (Corsi, 2011).

L’apparato di mediatori che consente la declinazione in attività di tali obiettivi è veramente sterminato. Si va dall’uso di filmati e di materiali multimediali che permettono di simulare situazioni reali con un’attivazione emozionale particolarmente intensa a serious games che, per il loro carattere di realtà possono generare forme di apprendimento semi-esperienziale, fino alle testimonianze. Diverse possono essere le metodologie di intervento peer-to-peer (Perla, 2020b).

Edustrada

Data la rilevanza del tema dell’educazione stradale, il Miur da anni dedica risorse e attenzioni non scontate all’impegno di insegnanti ed educatori attraverso una serie di iniziative che supportano le scuole di ogni ordine e grado (Figura 1). Una di queste è il progetto Edustrada. Edustrada sollecita la consapevolezza e l’interiorizzazione di valori che portano ad assumere forme di convivenza responsabili e costruttive: muoversi in sicurezza, a piedi, in bicicletta, in motorino, in auto, rispettando il contesto ambientale, sono comportamenti che la scuola diffonde per educare i giovani a una cittadinanza consapevole. Il portale di Edustrada (Figura 2) è stato avviato nel 2017 dalla Direzione generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Miur in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Polizia stradale, il Dipartimento di psicologia dell’università “Sapienza” di Roma, la Federazione ciclistica italiana, la Federazione motociclistica italiana, l’Automobile club d’Italia, la Fondazione Ania. Il lavoro dei diversi partner punta a diffondere in tutti i cicli scolastici la cultura della sicurezza stradale, del rispetto delle norme e della mobilità sostenibile. Altro tema importantissimo che Edustrada promuove è quello delle scelte individuali di mobilità divenuto nella nostra società un presupposto fondamentale per il benessere delle persone e delle comunità. In Italia il fenomeno in continua crescita dello sharing mobility oggi si trova al centro anche delle iniziative di promozione educativa per favorire – a lungo termine – l’interiorizzazione dei principi della sostenibilità ambientale.

Le scuole possono aderire ogni anno a Edustrada, nel mese di ottobre. E la ricchissima offerta formativa presente sulla piattaforma del Miur consente il confronto dei progetti didattici attivati oltre che promuovere la comunicazione fra le scuole di tutte le regioni in un’ottica di communities of learners e di partecipazione attiva di studenti e di docenti.

Bibliografia

Annali della Pubblica Istruzione (2011). L’educazione alla sicurezza stradale, Milano: Le Monnier

Bateson, G. (1984). Mente e natura, un’unità necessaria. Tr. it. Milano: Adelphi

Bookchin, M. (1989). Per una società ecologica. Milano: Elèuthera

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